Il dramma dell’Azlheimer nelle sale cinematografiche e alla notte degli Oscar grazie all’eccezionale interpretazione di Julianne Moore

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La “dolcezza dell’incoscienza”, così si potrebbe anche chiamare questa tremenda malattia. Solo chi ne viene a contatto lo può capire. Ci prova, e potremmo anche azzardare un: ci riesce, Julianne Moore, nel film Still Alice – scritto e diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland e nelle sale italiane dallo scorso 22 gennaio. Il film è la delicata ed introversa interpretazione della Moore a rendere meno dura, ma efficacemente reale, la messa a nudo di quella deriva muta che è l’Alzheimer. Una tematica difficile, perché facile preda del patetismo, oppure di quel senso di drammatizzazione, di cui il cinema, spesso, ne cade vittima. Una interpretazione che porta il pubblico in sala, ad elaborare ciò che l’attrice dice e fa.

Un film che fa riflettere, ma più che riflettere porta lo spettatore a confrontarsi con la propria realtà, e dove questa, è esperienza diretta con la malattia, a sentirsi meno escluso e meno solo. Il mondo dell’Alzheimer è un mondo fatto di tanti silenzi, di angosce e paure. Più per chi vive a gomito stretto con questa realtà, piuttosto che per il malato stesso. Julienne Moore, in questo film, fa un miracolo, ci porta direttamente dentro le emozioni di questo “male di vivere”. La storia di una donna appagata, intelligente, che giorno dopo giorno perde il “contatto” con la vita che la circonda. Un film, per certi versi curativo. Riesce con delicatezza a lenire, in parte, qualcosa che non è assolutamente curabile. E’ una storia avvolgente come una coperta, però troppa corta. Da una parte la bellezza del personaggio di Lydia, la figlia, che “cura” la madre leggendole letteratura drammatica e romantica, e dall’altra le emozioni di Alice, che giorno dopo giorno si confonde nel vuoto della perdita delle capacità cognitive.
Una malattia atroce, dove chi ne viene colpito, si trova lentamente a perdere coscienza del proprio sé, dei nomi cari, dei volti cari, di chi era, ma soprattutto di chi è. “Delicatamente avvolgente”, si potrebbe in ultima analisi, definire questa storia, questo film. Richard Glatzer e Wash Westmoreland, realizzano, con questa pellicola, un’operazione etica, concentrandosi più sulla parte intimistica che su quella drammatica e sensazionalistica. Un “dramma” veramente da Oscar.
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