Il nostro cervello è una fantastica macchina che ci rende diversi gli uni dagli altri. Ciascuno di noi lo utilizza nei più svariati modi, con i suoi punti di forza e, inevitabilmente, anche con i suoi momenti di sana… stravaganza!

Può capitare per esempio a volte di non riuscire a trovare la soluzione ad un problema. Poi, all’improvviso, mentre siamo impegnati in altro, la nostra lampadina si accende. Una vera e propria “illuminazione” che tuttavia non è casuale, in quanto dovuta ad un incredibile processo chiamato pensiero laterale.

Una potenzialità che noi di Korian abbiamo voluto sensibilizzare grazie ad un percorso interattivo, condotto dalla Dott.ssa Teresa Tona, rivolto a tutte le persone over 60 che vogliono coltivare e potenziare la consapevolezza delle proprie risorse e capacità.

Presso il K-Point dell’Istituto Padre Pio di Tarzo, in provincia di Treviso, si sono infatti tenuti tra il 22 aprile e il 20 maggio scorso cinque importanti appuntamenti. Momenti di condivisione dove i partecipanti hanno avuto modo di divertirsi e allenarsi a pensare con creatività, fuori dagli schemi e dalle soluzioni logiche.

Quella del pensiero laterale rappresenta di fatto una modalità di affrontare i problemi in maniera elastica e dinamica. Quasi come uno stretching del cervello.

Un’attività particolarmente consigliata e tutta da scoprire. Per questo motivo, mossi dalla curiosità, abbiamo voluto andare più a fondo, discutendone proprio con la Dott.ssa Tona, Psicologa Psicoterapeuta di Korian.

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Cosa vuol dire concretamente “pensiero laterale”?
“Il termine è stato coniato dallo psicologo maltese Edward De Bono per indicare una modalità di risoluzione dei problemi logici che prevede di prendere in considerazione diversi punti di vista. Si fonda sulla deliberata ricerca di nuove prospettive, angoli visuali innovativi da cui guardare un problema con lo scopo di rompere gli schemi percettivi abituali e trovare, al tempo stesso, un approccio semplice, originale ed efficace alla questione da risolvere. È il pensiero esplorativo e generativo che porta a nuove idee e nuovi concetti, che si allontana dal noto e dall’atteso, dai sentieri di fatto già battuti. Possiamo insomma vederlo molto vicino alle capacità artistiche e alla creatività”.

A quali soggetti è dedicata questa iniziativa?
“A tutte le persone over 60 che desiderano, con curiosità, condividere un percorso interattivo di gruppo”.

Si tratta di un’attività che favorisce la socializzazione?
“Certamente! Gli incontri sono costruiti a partire dai partecipanti, dalle loro esperienze e curiosità. Non si tratta di lezioni ex cathedra, anche se, ovviamente, vengono forniti spunti di riflessione, input su cui lavorare e “giocare”. Oltre a qualche piccola nozione di come funzioniamo noi umani quando pensiamo, ricordiamo, sogniamo o semplicemente percepiamo e interpretiamo la realtà che ci circonda. Poi naturalmente è interessante condividere le variazioni soggettive emerse”.

È davvero possibile favorire uno “stretching del cervello”?
“Si tratta di una metafora, un modo simpatico per ricordare che anche il nostro cervello va tenuto allenato.  Con il termine stretching si indica l’arte dell’allungamento muscolare e il cervello non è un muscolo! Ma se non possiamo quindi parlare di stretching del cervello sotto il profilo anatomico, lo possiamo sicuramente fare sotto quello metaforico. Allenare i muscoli ci serve per mantenerli efficienti, e così allenare il cervello serve a mantenerlo al meglio delle sue potenzialità”.

Quali sono i benefici maggiori?

“Per diverse ragioni l’essere umano tende alla minor fatica e su un piano intellettivo questo vuol dire semplificare, restringere il campo delle informazioni, trovare la via breve e selezionare le informazioni da ricordare. E questo non solo è utile, ma anche necessario per la sopravvivenza! Al contempo, però, come la sedentarietà fa diventare i muscoli flaccidi, anche il poco esercizio rende il cervello pigro e la memoria corta. Continuare a stimolare il cervello e la memoria aiuta a mantenerli freschi e produttivi fino a tarda età. Una di quelle attività che sostengono ciò che l’OMS definisce “invecchiamento sano e attivo” all’interno del ben più ampio concetto di benessere”.

Puntate molto sul considerare l’errore come “risorsa”. In che modo e perché?

“Si tratta di promuovere una riflessione sul modo personale che ciascuno ha di interpretare la realtà che lo circonda, selezionare, immagazzinare e trattenere le informazioni per recuperarle a distanza di tempo o rielaborarle. Vuol dire accorgersi di come si funziona, osservarsi, essere un pochino più consapevoli di alcuni meccanismi che nella maggior parte dei casi funzionano come automatismi. L’errore ci racconta di percorsi mentali imprevisti. Come in un negativo, in cui l’immagine presenta toni invertiti, la mancanza della soluzione attesa fa risaltare ciò che trova espressione attraverso l’errore: distrazioni, emozioni, concitazione, esitazione, ansia, lapsus, vuoti di memoria, un pensiero che ha attraversato la mente, la difficoltà mantenere il filo, interferenze culturali e differenze individuali”.

Di fatto non si smette mai di imparare.

“L’esperienza scolastica del passato, ed è ancora una eredità per tanti, ci ha insegnato a vedere l’errore come qualcosa di assolutamente negativo. Ma gli errori sono necessari, utili quando si è piccoli e quando non lo si è più. Alle volte pure belli, come la Torre di Pisa. L’essere umano non smette mai di imparare, nemmeno da adulto. Aver confidenza con la possibilità di sbagliare è utilizzare forme di pensiero meno convenzionali, che presuppongono curiosità, desiderio permanente di migliorarsi, adattabilità, flessibilità e un certo saperci fare con le proprie mancanze, siano esse di vecchia data, o regali dell’età”.

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